La casa coniugale, sia in sede di separazione che in quella di divorzio, può essere assegnata ad uno dei due coniugi; l’assegnazione prescinde dalla titolarità della proprietà (la casa, infatti, può anche essere di proprietà dell’altro coniuge o addirittura di terzi).
Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. L’assegnazione al genitore collocatario del figlio minorenne della casa familiare è dettata dall’esclusivo interesse della prole e risponde all’esigenza di conservare l’”habitat” domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime la vita familiare.
Salvo diverso accordo in sede giudiziale – ovvero nella convenzione di negoziazione assistita – le spese ordinarie (e dunque anche gli oneri condominiali) sono a carico esclusivo del coniuge assegnatario.
Quelle di straordinaria amministrazione (ad esempio, per lavori di ristrutturazione), invece, ricadono sempre sul proprietario, anche se non assegnatario (dunque, in caso di comproprietà, però, graveranno tanto sul marito quanto sulla moglie in ragione del 50% ciascuno).
L’amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l’esercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioè dall’effettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare, sicché è esclusa un’azione diretta nei confronti del coniuge assegnatario dell’unità immobiliare adibita a casa familiare, configurandosi il diritto al godimento della casa familiare come diritto personale di godimento “sui generis”