Non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi: occorre chiedersi se, evitare l’intervento, avrebbe evitato la paralisi.
La vicenda giuridica è complessa e tecnica, investe sia il nesso di causalità che l’accertamento della colpa in concreto dei medici.
La scelta del tipo di intervento da effettuare, se chirurgico o meno, non va valutata rispetto all’evento guarigione, ma rispetto all’evento concretamente verificatosi di danno permanente subìto dal paziente. In altri termini, il giudizio controfattuale va effettuato chiedendosi se l’intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l’intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l’interessato guarendolo dalla patologia. Nell’accertamento del nesso causale, infatti, la condotta alternativa lecita va messa in relazione all’evento concretamente verificatosi di cui si duole il danneggiato, non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l’indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa.
Semplificando: il consiglio dato dagli altri medici di non fare l’intervento chirurgico ma trattamenti meno invasivi, non necessariamente era giustificato dalla maggiore efficienza di questi ultimi, ma ben poteva essere giustificato dalla minore rischiosità di essi.
Il trattamento meno invasivo è da pretendersi a prescindere dalla sua efficacia sulla patologia in corso, per via del fatto che garantisce di evitare il rischio.